Cgil: un nuovo modello di sviluppo per riprenderci Brindisi, le future generazioni ci chiederanno il conto di quello che abbiamo fatto
Da una parte il mare, l'operosità di un popolo dalla storia millenaria che ha saputo sempre reinventarsi e tirarsi fuori dalle situazioni più complesse,
dall'altra la terra, la fatica che da sempre ha accompagnato gli sforzi della gente per guadagnarsi il pane, in un continuo ciclo di creazione e distruzione che non ha mai piegato l'animo e lo spirito dei brindisini che sono sempre stati capaci di affrontare le difficoltà che la Storia ha sparso con generosità su questo territorio. Così vedo Brindisi, una città mai doma ma che ha sempre dovuto fare i conti con le storture che nei secoli ne hanno segnato il profilo, l'orizzonte e l'essenza.
Negli ultimi decenni, Brindisi ha dovuto subire l'onta del ricatto occupazionale che ha imposto un modello di sviluppo a forte impatto ambientale che ha fatto modificare il proprio tessuto produttivo. Sembra che da cinquanta o sessanta anni a questa parte il millenario ciclo rivoluzionario incentrato sulla resilienza popolare si sia interrotto e che i brindisini si siano arresi a un presente continuo che ha cambiato il paradigma produttivo: l'industrializzazione di Brindisi non è andata come avrebbe dovuto ed alcune scelte calate dall’alto, che abbiamo accettato per ottenere dei posti di lavoro, che sono arrivati, hanno prodotto degli effetti a lungo termine il cui conto ci è stato presentato, che stiamo pagando e che pagheremo ancora per lungo tempo. Brindisi, versa in una profonda crisi.
L’industrializzazione del sito di Brindisi, quindi, in alcuni casi fortemente impattante per l’ambiente e per la salute dei Cittadini, è vero che ha prodotto posti di lavoro, ma ha dimostrato di avere un “respiro corto” tenuto conto che il passaggio epocale previsto dalle fonti fossili alle risorse rinnovabili per lo sviluppo della green economy rischia di avvantaggiare solo alcuni territori e danneggiarne altri, nella fattispecie Brindisi che andava bene quando si dovevano fare alcuni tipi di investimenti ed ora non viene più adeguatamente considerata da chi dovrebbe invece avviare forti investimenti economici mettendo insieme politiche lungimiranti, di ampio respiro che fondano aspetti climatici, emergetici, ambientali, industriali e sociali, per evitare un tracollo sociale ed economico. Il problema, quindi, è sistemico e va affrontato in maniera risoluta, cambiando radicalmente approccio alla questione industriale brindisina, per garantire una transizione giusta per tutti.
In questi giorni, abbiamo sentito spesso parlare di un “Green new deal” per Brindisi: le posizioni in campo sono tante e dalle innumerevoli sfumature ma, proprio in virtù di questo, un dibattito tra parti sociali, aziende, istituzioni e associazioni non solo è possibile ma è fortemente auspicabile. Noi, come Cgil, vogliamo rappresentare e rappresenteremo un punto di riferimento per chi vuole intavolare una discussione seria che metta in campo le posizioni diverse che attraversano il territorio con l'obiettivo di cercare le giuste soluzioni che possano contribuire a far ripartire il motore brindisino, misurato sempre su quel ciclo di rivoluzione che si è inceppato da lungo tempo ormai.
Quelli che stiamo vivendo sono giorni difficili e complicati ma, proprio per questo, non si può rinviare una riflessione globale sul futuro del nostro territorio che deve essere propedeutica agli interventi da realizzare per compiere quello sviluppo di cui abbiamo disperato bisogno se non vogliamo sprofondare definitivamente – come già sottolineato - a livello economico e sociale. Il feroce ritorno del Coronavirus, che per la verità non ha mai levato le tende né qui né altrove, non può rappresentare l'ennesima scusa per rinviare la discussione sul futuro di Brindisi e, anzi, deve rappresentare la molla per riqualificare i settori che sono maggiormente in sofferenza, magari iniziando proprio dalla sanità pubblica che merita un'attenzione particolare da parte delle istituzioni regionali e centrali.
Il cambio di rotta troppo spesso solo invocato e mai neanche cominciato deve partire da pochi ma irrinunciabili temi che devono tornare in cima alle agende della politica a tutti i livelli: transazione energetica, sviluppo del porto e questione trasporti, locali e nazionali, anche come volano di sviluppo per gli altri settori produttivi, siano le rotte da seguire per recuperare il tempo perso dietro le troppe chiacchiere che ascoltiamo da decenni. In questi giorni, una delle parole d'ordine che maggiormente si sentono nei vari salotti Tv o si leggono sulle colonne dei giornali, pronunciate tanto da attori politici quanto da raffinati osservatori, è “Recovery fund”, quello strumento che l'Europa concederà ai Paesi colpiti dalla pandemia per consentire una ripresa dei sistemi economici gravemente colpiti dai lockdown che i governi continentali hanno applicato in varia misura. In Italia, in questi mesi, mentre i ministri erano impegnati a strappare le migliori condizioni possibili a Bruxelles, le più grandi aziende nazionali hanno messo a punto i loro progetti per accaparrarsi una quota delle risorse dello strumento economico europeo: per quel che riguarda il comparto dell'energia, avremmo voluto che questa fosse stata l'occasione di imbastire una vera svolta verde e di virare verso sistemi di produzione ecocompatibili ed ecosostenibili.
Quello a cui abbiamo assistito, però, pare più un ibrido tra il mantenimento dello status quo e il tentativo di abbozzare misure green che, però, non sono sufficienti a imprimere il cambiamento che l'economia e l'ecologia richiedono. Brindisi deve essere in prima linea nella lotta al cambiamento climatico e, quindi, non può essere esclusa dai progetti “green” dei grandi gruppi industriali. Gli incentivi alle nuove tecnologie energetiche vedono Enel ed Eni impegnate in tutta Italia: bisogna che parte delle risorse venga destinata all’area di Brindisi, come opportunità di investimento, crescita e sviluppo. È questa la grande sfida da cogliere: il piano della Ue rappresenta un'opportunità che non bisogna sprecare se aspiriamo veramente a realizzare uno sviluppo sostenibile, a modernizzare il nostro paese e a creare nuovi posti di lavoro stabili e di qualità. In questo stesso contesto, si inquadrano anche le possibilità derivanti dallo sviluppo della produzione di energia da idrogeno verde che impegna Enel perfino in Cile, ad esempio. Percorrendo questa strada, si potrebbe creare un nuovo polo di ricerca e produzione da fonti rinnovabili, in particolare idrogeno verde, appunto, indicando anche l’impatto a livello ambientale e occupazionale. La produzione da idrogeno verde avrebbe un effetto importante per una transizione davvero epocale, definitiva e sostenibile. Tale obiettivo è in linea non solo con gli impegni sulla decarbonizzazione ma anche con lo sviluppo di settori di ricerca e la realizzazione di elettrolizzatori e accumulatori, con evidenti vantaggi a livello economico e occupazionale.
Stesso discorso vale per il polo petrolchimico: Eni può investire nella chimica verde oltre a continuare con la chimica tradizionale e realizzare il piano già in corso d’opera a Ravenna per lo stoccaggio di CO2 anche sul nostro territorio, oltre ai vari progetti già insiti nel Pniec per lo stoccaggio dell’energia elettrica, sfruttando la presenza della centrale di EniPower all'interno dell'area industriale del polo chimico. Nella zona industriale si possono individuare aree nelle quali sviluppare iniziative imprenditoriali e contribuire alla chiusura del ciclo dei rifiuti, alla generazione di biogas e alla realizzazione di impianti per la produzione di acqua potabile dal mare per contrastare le emergenze legate alle mancanze idriche dei territori, tutto ciò per sviluppare nuovi filoni di attività industriale e manifatturiera in un’ottica di multi-utility.
Ragionando di tutto questo, non si può ignorare il valore strategico delle infrastrutture per il trasporto delle persone e delle merci sulle quali Brindisi può contare, pur con tutte le criticità del caso: il porto e l'aeroporto dovrebbero essere i pilastri sui quali fondare la rinascita di Brindisi e delle sue attività imprenditoriali e industriali ma, oggi come oggi, la confusione e l'approssimazione, quando non la conclamata volontà di marginalizzare il nostro territorio, la fanno da padroni.
Lo sviluppo del porto di Brindisi è uno dei nodi cruciali per il futuro prossimo della città. La necessità di imbastire azioni urgenti e in netta controtendenza con la storia recente e remota di una delle infrastrutture più importanti per il territorio è evidentemente una priorità che deve tornare in cima all'agenda politica locale, regionale e nazionale. La Cgil ribadisce lo scorporo del porto dal sistema dell'autorità portuale: solo in questo modo, infatti, si possono riprogrammare l'assetto e le strategie che potrebbero rendere il porto di Brindisi il volano per la ripresa e il rilancio dell'intero sistema economico del territorio. Viceversa, qualora le cose rimanessero così come sono, il porto, insieme alla città, è destinato a un declino senza possibilità di ritorno, come previsto dagli esperti e come ribadito in più occasioni da studiosi e addetti ai lavori. È necessario approvare un nuovo piano regolatore del porto e il Pug del Comune per connettere definitivamente città e porto ma, prima di tutto, è indispensabile che il porto di Brindisi esca dall’Adsp del Mar Adriatico Meridionale che lega mani e piedi la nostra infrastruttura, condizionata dalla gestione di altri porti dell'Adriatico che hanno caratteristiche e bisogni diversi da quello brindisino. La questione porto, della quale abbiamo ampiamente parlato a più riprese offrendo il nostro contributo di elaborazione di soluzioni e progetti, si lega inevitabilmente con quella dell'aeroporto che, proprio in questi giorni, è stato mortificato dall'ennesima penalizzazione rispetto al resto del Paese, col taglio dei voli da e per Milano e Roma. In questo modo, infatti, si taglia fuori l'intero Tacco d'Italia dalla nazione: è ora di smetterla di considerare il Salento solo come una meta turistica, che esiste solo d'estate. È inconcepibile che si continuino a tagliare voli da e per il Salento e che una persona possa raggiungere la Capitale in 56 minuti ma poi debba essere costretta a pernottare prima di prendere un volo di ritorno. Chiediamo di potenziare lo scalo aeroportuale affinché, assieme al porto, al retroporto e alle altre infrastrutture dei trasporti da riqualificare, si possa realmente connettere il nostro territorio al resto del tessuto produttivo d'Italia, per cogliere le opportunità che ci sono e per consentire uno sviluppo in linea con le avanguardie europee, sempre più proiettate a un futuro verde ed ecosostenibile coniugato alla forza trainante di un'operosità della quale storicamente siamo interpreti.
Lo sviluppo di Brindisi, in conclusione, passa da qui, ora: sarebbe un grave errore, pregiudizievole per il nostro futuro, lasciar passare questo treno senza salirci a bordo. Le future generazioni ci chiederanno il conto di quello che abbiamo fatto, di quello che abbiamo provato a fare, di quello che abbiamo fallito e di quello che abbiamo ignorato e non abbiamo neanche tentato: di tutte le precedenti, l'ultima è quella che potrebbe vederci colpevoli senza appello.
Il Segretario Generale
f.to Antonio Macchia