Cgil: la risocializzazione nel regime detentivo: un obiettivo possibile?
“Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile. Il fine non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”.
Così scriveva Cesare Beccaria ne “Dei delitti e delle pene” oltre 350 anni fa. La lezione di uno dei più illustri padri del Diritto che l'umanità abbia avuto pare però essere stata dimenticata per intero, visto lo stato nel quale versano i nostri istituti penitenziari e le condizioni cui sono sottoposti i detenuti ristretti da Nord a Sud, dove come spesso capita le cose vanno peggio che altrove.
Le leggi dello Stato, che prendono ispirazione dalla Costituzione, istituiscono un corretto percorso per chi commette i crimini, garantendo pene commisurate agli errori fatti contro la comunità e attività mirate a reinserire gli individui nel tessuto sano della società, ma la realtà è nota a tutti ed è fatta di strutture obsolete, fatiscenti, sottodimensionate e sovraffollate, pericolose non solo dal punto di vista strutturale ma proprio da quello del principio che vorrebbe l'esperienza carceraria come parte del percorso di riabilitazione che deve essere garantito al detenuto.
La situazione è allarmante e Brindisi non sfugge alla statistica generale che vede le case circondariali italiane sicuramente lontane dagli standard che ci si aspetterebbe da un paese civile: la civiltà di una nazione si misura anche valutando il trattamento che offre agli essere umani che vengono privati della libertà a causa dei loro crimini.
Quando si pensa a un detenuto, l'immagine che appare nella mente dei più è quella dell'individuo “cattivo per definizione”, colui che si è macchiato di colpe tremende per le quali ogni pena non sembra mai abbastanza: l'immaginario collettivo, col passare del tempo, ha ceduto al fascino della forca, intesa anche nel senso letterale del termine, abdicando i principi sanciti dal diritto in favore delle peggiori pulsioni di vendetta. La realtà dei fatti, però, vede una popolazione carceraria variegata, composta per lo più da indigenti, gente che ha perso il lavoro mossa dalla necessità a delinquere, persone che hanno sbagliato e che potrebbero essere recuperate a pieno con un piccolo sforzo educativo prima che punitivo. Di tutti ma di loro in particolare non ci si deve dimenticare: dare un'opportunità anche dietro le sbarre è un dovere morale di uno Stato di diritto.
Il carcere di via Appia ha fatto la storia della città, essendo situato nel cuore di essa: i suoi quasi 100 anni si vedono e si sentono tutti e, secondo noi, è giunto il momento di pensionare la casa circondariale sia fisicamente che filosoficamente per passare a un modello radicalmente diverso, in cui al detenuto venga concesso di scontare la sua pena secondo i principi del diritto magistralmente descritti dalla penna di Beccaria.
Può suonare strano, ma a Brindisi abbiamo tutto per compiere questa rivoluzione nel paradgima della detenzione: l'alternativa a via Appia si trova a pochi chilometri dal centro abitato, in una struttura enorme e abbandonata da quasi 30 anni che periodicamente ritorna al centro del dibattito pubblico che, alla fine, si avviluppa su se stesso auto fagocitandosi.
L'associazione “Salute pubblica”, sempre attenta e propositiva sui temi che a volte ingiustamente vengono relegati in fondo all'agenda delle istituzioni locali e centrali, ha lanciato una proposta che come Cgil ci sentiamo di sposare, condividere, promuovere e rilanciare: evacuare e riconvertire a un differente uso l'attuale struttura detentiva e trasferire la popolazione carceraria in una parte della ex-base Nato che offre possibilità per ora inesplorate anche per iniziative imponenti come potrebbe essere questa.
L'ex base Nato di Brindisi, rilanciano da “Salute pubblica” a sostegno della fattibilità della tesi, non è più attiva dal 1993 ed è in carico all’Agenzia del Demanio che nel 2007 ha ceduto a titolo gratuito il 20% dell'area una volta militare all’ UNCHR, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Parliamo di 160 ettari, con 260 immobili: una vera e propria città da anni dismessa e abbandonata che, grazie a questa idea, potrebbe diventare uno dei fiori all'occhiello del nostro territorio.
Il progetto, per ora solo nella testa di chi l'ha pensato, sembra rasentare la fantascienza per quello che la nostra terra ha sempre conosciuto ma, in realtà, la fattibilità dell'idea è molto più di una suggestione.
Gli spazi a disposizione dell'ex base Nato garantirebbero la svolgimento di quelle attività essenziali per la riabilitazione e il reinserimento degli ospiti che non devono essere pensati come dei pesi per la società ma come esseri umani a cui offrire percorsi impossibili da implementare nell'attuale casa circondariale il cui destino, per non lasciare nulla al caso, dovrebbe essere quello della riconversione ad altri usi.
Brindisi, in questo modo, potrebbe diventare il modello di un altro carcere possibile, un faro dei diritti civili e un laboratorio per sperimentare politiche carcerarie viste già altrove ma lontane anni luce dalla realtà desolante degli istituti italiani.
Nei fatti, poi, non ci stiamo inventando nulla: Beccaria, oltre tre secoli fa, ci ha già indicato la strada. Ora, tocca a noi tracciarla e seguirla. E sarebbe pure ora.
Il Segretario Generale
Antonio Macchia