La riforma Monti-Fornero, una legge truffa per i lavoratori (di Fulvio Rubino).

L’osservazione sistematica dei fenomeni sociali avvenuti in quest'ultimo anno, gli attori, i registi, le comparse, gli ultimi, quelli non presenti sulla scena, mi spingono a ritornare a parlare dell'art.24 del D.L. 201/2011, convertito con modifiche in L. 214/2011, più comunemente conosciuto come riforma Monti-Fornero, che a suo tempo (già il 07/12/2011 - http://lavorosocieta.cgil.it/archivio/87-archivio/3846-annotazioni-in-materia-previdenziale- e successivamente con la pubblicazione "RI-PENSARE LA PREVIDENZA tra sostenibilità finanziaria e sostenibilità sociale") ho definito una vera e propria contro-riforma del sistema previdenziale italiano.

Il trascorrere del tempo ha reso consapevoli, conclamato e reso ancor più evidenti le negatività solo supposte nell'immediatezza dell'approvazione della norma, tanto che, a mio avviso, il complesso delle norme sulla previdenza approvate con la L.214/2011 può essere definita una vera e proprio LEGGE TRUFFA.

 

Le motivazioni che mi spingono ad usare tale definizione, senza entrare nei dettagli, possono essere riassunte in modo generale secondo cinque aspetti argomentando la veridicità delle affermazioni

  1. La riforma Monti-Fornero contrariamente alle motivazioni sventolate in realtà avvantaggia i lavoratori anziani e svantaggia i lavoratori giovani.

Le disposizioni della riforma Monti-Fornero, che, a detta della compagine governativa, dovrebbero essere state emesse in favore dei giovani, si rivelano strumenti di vera macelleria sociale proprio per i giovani.

L'aumento dei requisiti per l'accesso alla pensione, la disposizione che tali requisiti devono essere rivisti ogni due anni in base all'aumento della speranza di vita, non fa altro che bloccare il turn-over e, per le condizioni del mercato del lavoro e congiunturali dell'economia, accresce le difficoltà dei giovani a trovare lavoro e, quindi, a costruirsi una pensione adeguate per il proprio futuro.

L'introduzione della modifica periodica dei requisiti anche per l'accesso alla pensione con i soli requisiti di anzianità farà sì che, nel futuro, tale pensione sarà effettivamente inaccessibile e si potrà andare in pensione solo per vecchiaia.

La nuova pensione anticipata accessibile a partire dai 63 anni, in quanto sottoposta al requisito in un importo non inferiore a 2,5 volte l'importo dell'assegno sociale, fa sì che a tale prestazione potranno accedervi solo i dirigenti, coloro che hanno retribuzioni alte, e, quindi, sarà inutilizzabile dalla quasi totalità dei lavoratori.

Le disposizioni introdotte dalla riforma Monti-Fornero creano una forbice che tende ad allargarsi sempre più e che fa pagare al doppio l’innalzamento generalizzato della speranza di vita perché questo aumento della speranza di vita fa contemporaneamente innalzare i requisiti per l’accesso alla pensione e fa diminuire i coefficienti di trasformazione (si deve lavorare sempre di più e nel contempo i contributi si trasformano in una pensione sempre più bassa): questa è la vera macelleria sociale per i giovani (aggravata dal fatto che se un domani la speranza di vita diminuisse, la forbice non si chiuderebbe, e rimarrebero inalterati requisiti a pensione e coefficienti di trasformazione).

L'introduzione del contributivo per tutti dal 2012 ha, di fatto, eliminato tutti i vincoli di anzianità massima per il calcolo delle pensione e, quindi, fa sì che i lavoratori anziani di oggi (già favoriti per il sistema di calcolo di una parte, anche consistente, di pensione) possono continuare ad aumentare la propria pensione: si pensi per esempio ai docenti universitari, o ai magistrati, che possono rimanere in servizio fino a 70 anni.

Così le dichiarate motivazione di necessità per l'emanazione della riforma Monti-Fornero sono false e truffaldine per l'opinione pubblica.

  1. La riforma Monti-Fornero introduce criteri redistributivi al contrario perché avvantaggia i "forti" e svantaggia i "deboli".

L'applicazione tout court dell'incremento della speranza di vita degli italiani ai coefficienti di trasformazione del contributivo è quanto di più sbagliato ci possa essere relativamente all'equità distributiva: è una vera INIQUITA'. La massificazione che tutti sono uguali e devono essere trattati allo stesso modo è un insulto a don Milani quando affermava che "non c'è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali".

Può un lavoratore con redditi alti essere trattato allo stesso modo di un lavoratore con redditi bassissimi, quando sappiamo che uno può permettersi cure e uno stato di vita agiato da farlo vivere più a lungo e l'altro non può permettersi neppure di pagare il ticket sui medicinali?

Può un lavoratore che svolge una attività usurante, oppure che è a contatto con sostanze altamente pericolose, ovvero che lavora in situazioni di disagio ambientale essere trattato allo stesso modo di un impiegato o un dirigente?

Facciamo un esempio per chiarire fino in fondo l’iniquità. Senza entrare nel merito delle cause, ammettiamo che le persone facoltose abbiano una vita media che si aggira intorno agli 85 anni e che le persone povere abbiano una vita media che si aggira intorno ai 79 anni. Se due persone, una facoltosa e una povera, andassero in pensione contemporaneamente, alla stessa età di 66 anni, e con lo stesso montante contributivo di 200.000€, allora il principio di equità comporterebbe una valutazione attenta del fatto che alla persona ricca si dovrebbe pagare la pensione per 19 anni, mentre alla persona povera si dovrebbe pagare la pensione per 13 anni. Il che significa che la persona facoltosa dovrebbe percepire una pensione annua di 10.526€ (200.000 : 19) e la persona povera dovrebbe percepire una pensione annua di 15.384€ (200.000 : 13). Invece, il coefficiente di trasformazione viene aggiornato in base alla media della speranza di vita, data da 82 anni (la via di mezzo); il che significa che si dovrebbe pagare ad entrambi, senza distinzione, una pensione per 16 anni di importo pari a 12.500 €. Così, il lavoratore povero riceverà una pensione più bassa rispetto a quella che gli spetterebbe (il divisore invece di essere 13 è 16) e il lavoratore facoltoso riscuoterà una pensione più alta di quella che gli spetterebbe (il divisore invece di essere 19 è 16).

Qualcuno potrebbe obiettare asserendo che la speranza di vita non è calcolata con una media aritmetica ma con una media ponderata, il che significa che il sistema di calcolo della speranza media intrinsecamente tiene conto del numero di poveri e del numero dei ricchi: ma ciò non rende giustizia fino in fondo e, comunque, non applica il principio della redistribuzione della ricchezza che presuppone che i ricchi debbano sostenere i poveri e non viceversa.

La stessa riflessione è possibile effettuarla mettendo a confronto lavoratori di settori differenti come chi lavora negli alti forni o manipola sostanze pericolose e gli impiegati di un ufficio. Per di più, per i lavoratori usuranti non ha senso prevedere la possibilità di poter andare in pensione con requisiti più bassi rispetto agli altri lavoratori se poi, nel momento in cui si definisce la misura della prestazione pensionistica, si utilizzano i coefficienti di trasformazione calcolati in base alla speranza di vita di tutta la cittadinanza.

L'applicazione tout court dell'incremento della speranza di vita ai coefficienti di trasformazione è una INGIUSTIZIA che deve essere rivista perché, con essa, i "deboli" pagano la pensione ai "forti".

  1. La riforma Monti crea la definizione di tempi molto ristretti per l'aggiornamento/modifica dei requisiti di pensionamento in base all'incremento della speranza di vita della popolazione italiana crea stabilmente la NON CERTEZZA DELLE NORME (deteriora il rapporto di certezza e di fiducia tra cittadino e Stato), l'impossibilità a prevedere un futuro certo anche nel brevissimo periodo e crea stabilmente e continuamente "esodati".

L'aggiornamento dei requisiti di pensione in base all'incremento della speranza di vita degli italiani (in realtà già introdotto da provvedimenti legislativi precedenti alla riforma Monti-Fornero), che la riforma Monti-Fornero ha inasprito, non ha fatto altro che creare stabilmente "esodati" tanto che si sta avverando la previsione di un politico che aveva presagito che il parlamento avrebbe occupato i suoi anni a riproporre rimedi per la salvaguardia di questi lavoratori: basti guardare i diversi provvedimenti legislativi emessi nell’ultimo anno al fine di reperire le risorse per permettere il pensionamento di tali lavoratori.

A questo clima di stabilità ed incertezza si aggiungono gli aggiornamenti ravvicinati (ogni due anni) che non danno certezza di futuro, non nel lungo periodo come è naturale, ma proprio nel brevissimo periodo, il che cancella totalmente il rapporto di fiducia e sicurezza tra Stato e cittadini: è un altro tassello verso la distruzione dello Stato Sociale.

  1. la riforma Monti-Fornero sottrae risorse al sistema mutualistico delle previdenza per utilizzarle come fiscalità generale a copertura del disavanzo di bilancio dello Stato.

Il sistema previdenziale si è sempre presentato come un sistema mutualistico in cui, attraverso la contribuzione dei lavoratori e dei datori di lavoro, si è provveduto , nel tempo, alla protezione dei lavoratori colpiti dagli eventi negativi che mettevano a rischio le loro capacità di lavoro e di guadagno (malattia, infortunio, disoccupazione, vecchiaia). Allo stato attuale queste garanzie non ci sono più perché la riforma Monti-Fornero sottrae forzatamente circa 20 miliardi di €uro (a regime) di contribuzione previdenziale per il sostegno del bilancio dello Stato come se la contribuzione previdenziale fosse fiscalità generale e, quindi, fa pagare la copertura del disavanzo generale dello Stato solo ad una parte di cittadini e non alla generalità della cittadinanza: è un vero ESPROPRIO, o meglio FURTO LEGALIZZATO, di garanzie/diritti destinati ai lavoratori.

  1. La riforma Monti-Fornero trasferisce l’INPDAP all’INPS senza che lo Stato e gli Enti Pubblici abbiano mai effettivamente versato la contribuzione spettante per i lavoratori pubblici, né è stato previsto un trasferimento di patrimonio a copertura delle pensioni in pagamento per i lavoratori già andati in pensione.

La L.214/2011 ha previsto l'assorbimento dell'INPDAP (l'istituto previdenziale dei dipendenti pubblici) e dell'ENPALS da parte dell'INPS, definendo in sordina (e oserei dire con leggerezza) la più grande fusione di enti pubblici mai definita in Europa(come se non fosse bastata la sottrazione di circa 20 miliardi di euro)

Non mi soffermo sull'importanza della concentrazione di potere che questa norma ha dato origine, anche se finora non mi pare ci sia stata una riflessione adeguata su tale scelta.

Nel bilancio consuntivo dell'INPS la Cassa Pensioni dei Dipendenti degli Enti Locali (CPDEL) ha un disavanzo patrimoniale di 36.806 mgl/€ (con un incremento di deficit nel solo anno 2012 di 5.859 mgl/€) e la Cassa Trattamenti Pensionistici dello Stato (CTPS) ha un disavanzo patrimoniale di 15.993 mgl/€ (con un incremento dei deficit nel 2012 di 845 mgl/€). Il disavanzo patrimoniale complessivo delle gestioni ex-INPDAP, che ammonta a 17.393 mgl/€ (con un incremento del deficit nel solo anno 2012 di 7.124 mgl/€),

tenderà ad aumentare a causa del blocco del turn-over che ha generato una consistente contrazione delle entrate contributive, a fronte delle quali si è rilevato un continuo aumento delle uscite per prestazioni istituzionali. Ma il disavanzo è generato anche da versamenti contributivi non effettuati il cui recupero sarà quantomeno arduo.

L’unificazione di tutte le casse e fondi previdenziali in un unico istituto di gestione, nel silenzio quasi assoluto in fase di emanazione della riforma Monti-Fornero, riversa sul sistema previdenziale pubblico costi che sono propri dello Stato e degli Enti Pubblici: è una vera TRUFFA nei confronti dei lavoratori, in particolar modo dei lavoratori dipendenti. E , per i prossimi anni non sarà sufficiente una eventuale disponibilità a ripianare annualmente i deficit patrimoniale da parte dello Stato, perché ciò significherebbe manipolare il bilancio ed il patrimonio del sistema previdenziale in modo da darne una visione sempre in difficile equilibrio, quasi che sia necessaria una ulteriore riforma in modo da stabilizzare economicamente il sistema.

La riforma Monti-Fornero come si può non definire una LEGGE TRUFFA per i lavoratori? 

Fulvio Rubino

(CGIL: coordinatore nazionale dello sviluppo dei sistemi informatici di calcolo previdenziale)

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