Macchia: “Inaccettabile la chiusura e il ridimensionamento dei Punti di Primo Intervento, a Brindisi bisogna riprogrammare urgentemente la Sanità”
BRINDISI – L’atavica grave carenza di medici (32 unità) del 118 della Asl di Brindisi con la chiusura, dal primo giugno prossimo,
del Punto di primo intervento territoriale (PPIT) di Cisternino rappresenta solo la punta dell’iceberg rispetto a quanto come Cgil denunciamo circa la questione del Piano di Riordino Ospedaliero.
Un fatto grave quello di Cisternino, che si vuole chiudere perché ha meno di 6mila accessi all’anno, che non rappresenta nemmeno un caso isolato dal momento che ridimensiona anche il PPIT di San Pietro Vernotico il quale sarà mantenuto solo nelle ore notturne e festivi. E la permanenza delle postazioni dei 118 mobili, si dice, sarà mantenuta in base alle risorse umane disponibili. Sembra quasi un controsenso proprio quando invece in queste località, con l’arrivo dell’estate, ci sarà un aumento di popolazione che avrà bisogno di servizi importanti come questo.
Ed è proprio per questo che la Camera del Lavoro dichiara tutta la sua contrarietà alla chiusura dei servizi che rappresentano una continua riduzione di quel diritto costituzionale alla salute da parte del cittadino. Occorre quindi trovare soluzioni.
Dalla lettura della nota del 23 maggio 2022 del Direttore SEUS 118 di Brindisi emerge la drammaticità della gravissima carenza di organico medico che l’attuale direzione strategica ha ereditato e che è frutto evidentemente di precedenti scelte organizzative che hanno influito sull’attrattività del SEUS 118 di Brindisi: indubbiamente l’attuale struttura contrattuale dei medici 118 non è più confacente al ruolo che essi svolgono nell’ambito della risposta delle ASL alle domande di salute (ed infatti la CGIL lotta per il passaggio di questi medici al rapporto di lavoro subordinato), ma la scrivente organizzazione sindacale non può non rilevare che, sempre dalla suddetta nota, emerge una disomogenea carenza di medici come se ci fossero maggiori difficoltà organizzative nell’area Sud rispetto all’area Nord.
Ma la soluzione non può essere quella, prospettata nella nota in parola in linea con certa dottrina neoliberista, di chiudere i servizi per mancanza di risorse (in questo caso umane, di medici), poiché le chiusure, non solo potrebbero configurare una vera e propria di interruzione di servizio, ma soprattutto gravare sempre sui soliti noti: le persone che necessitano di prestazioni sanitarie. Nello specifico, quelle persone che necessitino di prestazioni a bassa intensità di cura, con la chiusura dei Ppit, in particolare, saranno costretti a rivolgersi ai Ppss e ad attendere lunghe ore laddove sono prioritari altre patologie più urgenti, oppure, proprio per non subire tali attese, a rinunciare del tutto alla prestazione sanitaria o a pagare privatamente. Naturalmente questo fatto determina, a sua volta, un ulteriore inasprimento delle diseguaglianze di salute già, purtroppo, gravi nel nostro territorio, stanti gli indici povertà e disoccupazione a tutti noti.
La visione della CGIL è invece ben diversa: il numero basso di prestazioni con cui vorrebbero giustificare la chiusura dei PPIT in base al DM 70/2015, rappresenta una potenzialità inespressa: ad esempio, la revisione dei protocolli di trasporto del SEUS 118 in modo da portare nei PPIT i pazienti classificabili come codici bianchi e verdi, ad un tempo aumenterebbe sia le prestazioni dei PPIT sia, quindi, l’attrattività degli stessi per lavoratori ed utenti, e restringerebbe l’utenza dei PPSS ai pazienti effettivamente più gravi!
Naturalmente questa rivoluzione culturale necessita di una nuova politica occupazionale ed organizzativa da parte dell’amministrazione dell’ASL BR: la presa in carico di pazienti classificati con codici bianchi e verdi implicherebbe la necessità di eseguire alcune prestazioni sanitarie specialistiche (ecg, esami ematochimici, radiografia di base per la piccola traumatologia ad esempio). In questo modo verrebbe invertita la logica delle chiusure e verrebbero contemperati i diritti costituzionali, in particolare quello fondamentale della salute con quello del lavoro, alla luce dei principi di solidarietà e
uguaglianza: riportare la questione ai modelli organizzativi, a partire dal fabbisogno di personale, che dovrebbe essere omogeneo su tutto il territorio provinciale, regionale e nazionale, garantirebbe il rispetto dei LEA e fornirebbe a tutti le migliori cure possibili.
Peraltro, il dm 70 viene costantemente disatteso, da anni, ad esempio, in termini di posti letto per abitanti o di assistenza ai pazienti psichiatrici e alle fragilità in generale: non si capisce perché venga citato solo per chiudere servizi, chiusure, tra l’altro, sempre definitive, mai contestuali o successive ad aperture di servizi analoghi.
Chiediamo alla Asl di investire sul personale sanitario, sempre più in fuga; chiediamo che si dia corso alla riorganizzazione dei posti letto, partita, ma mai conclusa e che vede Brindisi penalizzata rispetto alle altre province di Puglia e ancora al disotto della media fissata di 2,7 (mai raggiunta) per mille abitanti (inferiore comunque alla media nazionale del 3,7 e regionale del 3,4. Chiediamo che vengano aperti quei reparti annunciati ma di fatto mai decollati. Chiediamo che si investa nella medicina del territorio, sui centri di salute mentale, i Sert, i consultori. Chiediamo di riprogrammare la Sanità in questo territorio. Non si può solo tagliare e chiudere pensando che il bisogno di salute dei cittadini diminuiscano perché o finiranno per ripercuotersi su altri settori mandandoli in crisi, o si indirizzeranno le persone (e pochi che possono) a rivolgersi alle strutture private, o ancora peggio a non curarsi più. E questo è intollerabile.
Pertanto, chiediamo la revoca dei provvedimenti in questione e la convocazione della cabina di regia per esperire ogni utile iniziativa tesa a potenziare il sistema sanitario provinciale.
Antonio Macchia